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Ritratto di smartphonizzato

Più che della presenza, lo smartphonizzato ha bisogno dell’assenza degli altri. E questa si può ottenere o con l'astrazione distanziante – collocandoli cioè dall'altra parte della connessione –, oppure con la riproduzione fotografica e filmica della loro realtà. Giacché quell'utente è arrivato persino al punto [...] di riuscire ad apprezzare della realtà degli altri e di tutto il mondo circostante solo quello che fotografa o solo quello che riprende, come se inconsciamente preferisse guardare al mondo non già immediatamente con i suoi occhi, ma mediatamente con gli occhi dello smartphone. In tal modo, come si può intuire, questo strumento telematico non esige solo l’annientamento escludente e l’astrazione distanziante dalla realtà dell’altro e da tutto l'altro, ma anche l’annientamento e l’esclusione dell’utente, ossia il nostro annientamento come soggetti capaci di scelta e di giudizio critico.
[...]
Consapevole però dell’inconsistenza di questi mezzi, specie nei momenti di più angosciosa solitudine, oggi quell'utente così de-ontificato si vede sempre più costretto a ripetere a se stesso non "Penso, dunque sono", bensì "Mi faccio un selfie, dunque sono".

Estratto da: Il "selfismo" e la de-ontologia dello smartphone, di Franco Di Giorgi, pubblicato su "Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis".

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